“Che volevi dire?”
“Non lo so. Volevo solo che andasse via.”
“E ci sei riuscita. Ma proprio bene. Complimenti.”
“Era un meschino.”
“Ma che ti ha fatto?”
“Mi ha dato fastidio.”
“Che ci sei uscita a fare, allora?”
“Per parlare.”
“Ma di cosa?”
“Di cose. Sembrava un tipo interessante. Ma poi: il buco nero. Argomentava il niente”
“Potevi almeno sopportarlo per qualche altro minuto. Magari finiva che te lo facevi piacere.”
“Ma perché… Mi serve un uomo per forza?”
“Hai trent’anni.”
“Embé?”
“E’ tardi…”
“Ma tardi per cosa? Che vuoi capire tu. Sei fidanzata da quando sei stata capace di intendere e di volere. E, da allora, sempre con lo stesso. Che ne sai tu della vita?”
“Questa poi! Io della vita ho capito certo più cose di te, che ti crogioli nella tua solitudine. Guarda invece io e A. come siamo felici.”
“Felici? Felici? Voi due? Ma secondo te io dovrei prendere spunto da.. Due miserabili.. Come voi?”
“Miserabili?”
“Si, miserabili. Siete la vostra vicendevole rovina. Vi anestetizzate a vicenda vivendo, ognuno, le paranoie dell’altro. Non siete un esempio”
“Che ti abbiamo fatto di male? Solo perché ci amiamo… E tu sei sempre sola? Invidiosetta?”
“Ma vi vedete? State insieme da quando avevate sedici anni. Non avete conosciuto altro. Non fate niente altro che mangiare, uscire… Scopate quando capita, giusto quel sesso quasi-procreativo, nazional-popolare. Parlate, se parlate, di stupidaggini. Se uscite con qualcuno, parlate di ciò che avete fatto. O di ciò che altri hanno fatto. Fate cose per avere cose di cui parlare. E parlate di cose per trovare cose da fare prima per parlarne poi. Non avete niente altro di cui parlare. Niente idee. Niente. MA vi rendete conto? Siete già morti.”
“Stai proprio esagerando. Non ti permetto di parlare della mia storia in questo modo. Io ti sono amica, è vero. Ma sono l’unica. E questo non è un caso. Li hai fatti scappare tutti. E di questo passo…. Cioè.. Sei tu la strana. Io ho altri amici. IO! E gli altri miei amici – MIEI!- sono normali”
“Certo loro sono come te. Senza aspettative. Senza prospettive. Si guardano vivere. Passivi spettatori delle loro stesse esistenze. Ma ti ricordi l’ultima volta che sei stata felice? NO! Fai sempre le stesse cose. E’ sempre tutto uguale.”
“…Ah! E quindi saresti tu quella diversa? Tu quella buona! Solo perché sei una scorbutica? Solo perché pensi di essere la migliore di tutte? Ma ti sei vista? Sei sola come un cane? Tieni pure le zampe di gallina! Quel ragazzo, D., è l’unico che ti ha pensato minimamente. E gli hai praticamente sputato in faccia. E ti aveva offerto solo una rosa.”
“Ti ripeto, mi ha dato fastidio. Era un gesto stereotipato.”
“ Quando è stata l’ultima volta che hai scopato? Quanti anni fa?”
“Ma che cazzo c’entra? Ora perché non c’è un maschio buono nel raggio di un milione di chilometri devo scoparmi il primo che passa. Ma che me ne fotte di questi energumeni. Questi palestrati con Bukovski in bocca e un anabolizzante in culo. Come ci si può innamorare di questi gusci di noce? Ora tu stai finendo per pensarla come le tue amichette-ochette che perché hanno trent’anni si fanno ingravidare dal primo che capita. ”
“Tu ragioni proprio male. Ma che ti avranno fatto alla nascita, non so? Eppure tua madre era normale.”
“Che c’entra mia madre? Ma non lo vedi che la vera pazza sei tu? Incatenata alla tua routine. Al tuo dovere. Hai già i doveri coniugali e non te ne fai un problema! Respiri solo per sopraffare il passare del tempo.”
“No.”
“Ecco. Non hai argomenti. Perché…. Perché….. Si! Tu ….. Sei una cretina. Va bene, l’ho detto. Sei una cretina. E ci sei nata, non è nemmeno colpa tua! Ci nascete cretini, ci nascete schiavi!!
“Stai pisciando fuori dal cesso. Questa è la volta buona che la nostra amicizia va a puttane. Ma a che mi serve una come te? HO altre amiche. NORMALI!”
“Non ti servo a niente! Ma ora perché non te ne vai a fare in culo?”
“Me ne vado.”
“Brava vai. Io posso parlare anche da sola. Non me ne frega proprio un cazzo. Che stavo dicendo?”
“Stavi parlando della natura”
“Ah. Sei tu. Sempre nei momenti meno opportuni ricompari dai miei sogni infantili.”
“Non è colpa mia se faccio parte del tuo universo allucinatorio”
“Ho una mia crisi, vero?”
“Si, probabilmente. Sempre se non è diventato normale parlare con un gorilla di peluche.”
“Non proprio.”
“E allora… Welcome back.”
“Ok, allora ci vorrà del tempo. Stavo dicendo… E’ tutto dominio, potere. Morte. Tutti gli animali, dal più infinitesimale al più enorme hanno un unico motivo per vivere: dominare l’ambiente, cambiarlo a proprio piacimento. Soddisfarsi. Ma camminiamo. Ti ricordi quando da piccoli contavamo il numero di mattoni dei palazzi? Ora non ci riesco più. Comunque encefali, braccia, gambe, uncini, tentacoli, occhi, lingue, tubi digerenti, genitali… E’ tutto progettato per farci sopravvivere. Per distruggere gli altri. Gli animali, quelli veri non quelli di pezza come te, lottano per il dominio delle risorse, dell’acqua, del cibo, delle femmine. In certe specie le femmine sono sopraffatte dal maschio. In altre il maschio è sopraffatto dalla femmina. E’ tutto istinto. L’animale in natura vive nell’inconsapevolezza. Ma io no! Cazzo! Che cos’era quella rosa? Cosa volevi da me? Mi volevi sopraffare”
“Forse ti voleva semplicemente dire che ci teneva a te”
“Con un fiore morto?”
“Hai ragione. Ma io sono pur sempre un personaggio del tuo mondo interno”
“Touchè. Comunque un vantaggio c’è in questa storia. Siamo ormai due personaggi del mio racconto interiore. Credo che siamo all’interno di una storia su qualche libro o blog sperduto. Forse non siamo nemmeno ancora stati scritti. Forse qualche persona ci sta scrivendo al lume di candela, con la drum’n bass nelle orecchie. E c’è sicuramente qualcuno che in questo momento ci sta leggendo, altrimenti ora non esisteremmo. Quindi, almeno per adesso, esistiamo nella sua mente. Direi di andare a via Toledo. Fuori da Bershka. E ci stiamo davvero! Comunque. Come ha fatto la musica a evolversi da Mozart alla Drum’n bass? Non c’è niente di bello in quella vegetale morto. In quel fiore morto. Che decerebrato! Come poteva pensare di fare colpo su di me con un cadavere in mano. Quella stronza di L. non capirà mai. Gli animali, quando fanno sesso, non capiscono cosa stanno facendo. Lo fanno per foga. Lo fanno per necessità. Per natura. E lei ancora è fidanzata con quel decerebrato di A. Due animali. Due deficienti. Accoppiati. Figlieranno altri deficienti. Quando noi umani usiamo il termine “è naturale” sottintendiamo qualcosa di bello, di genuino. Ma cosa c’è di meraviglioso in questa forza che ci spinge verso la distruzione delle risorse? Cosa c’è di equilibrato nella necessità di uccidere il nostro simile che minaccia i nostri averi? Cosa c’è di fantastico nella proprietà privata? Negli oggetti che sono tutti armi per qualcuno. Nei denti canini. Perché sei così grande ora?”
“La vedi la pioggia di meteore?”
“Si. Sono dei cubi perfetti che cadono. Che cadono sul mare e si tramutano in navi di polistirolo. Gatte di polistirolo. Le gatte, quando hanno l’estro sono portate, inconsapevolmente, a rilasciare ferormoni e ad avere comportamenti per attrarre il maschio. Loro non sanno che ne saranno sopraffatte, come le onde dal frangiflutti. La natura le rende incoscienti di ciò che le aspetta. Il maschio di turno le assalterà, le sottometterà. Sembra tutto crudele, ma non c’è niente di crudele: è natura. E’ istinto. E io non ne voglio fare parte. Quel gatto maschio in realtà con quella rosa in mano non sta facendo niente di peggio di quello che potrebbe fare un altro al posto suo. E un altro. E un altro. Cioè hai capito? Il gatto, l’uomo.. E’ collegato…”
“Si. Come un gelato seduto alla guida dell’R4 e l’autista dell’R4 seduto sulla cialda. Collegati da un destino intrecciato.”
“Infatti! Perché vedi. Ma come ti chiami? Va bene. Comunque ciò che conta nel sesso è farlo prima. O era farlo bene? Ciò che conta è distruggere gli avversari. E’ portare avanti la propria stirpe invece di quella di qualcun altro. E per fare ciò, per trasmettere quel corredo genetico, la natura ci ha dato quattro zampe, un encefalo… Dico a noi, ci ha dato la necessità di mangiare e di bere. Ma da quando siamo diventati indipendenti da questa primordialità?
“Probabilmente mai.”
“Esatto. Questa cosa, per esempio, sta diventando più un monologo che un dialogo. Però credo che tu mi stai sentendo, forse direttamente nella tua mente, senza che io stia pronunciando nemmeno una parola. Ma come stai facendo?
“Non lo so, è come se ti leggessi direttamente nel pensiero. E’ come se quello che stai dicendo fosse stato scritto da qualcuno. E’ come se fossi nella mente di chi legge.”
“E’ un fatto strano. La natura ci ha incatenato qui, in queste carceri di carne e ossa. Ci ha condannato ai nostri bisogni fisici. Ci ha dato le antenne? NO! Ci ha dato le mani. E io ora sto parlando nel linguaggio dei segni, per dimostrartelo. Ma sento ancora la mia voce. Come è possibile?”
“Non lo so, mi sento strano. Non ho più gli occhi”
“La natura ha mutilato tutti gli animali della parola, tranne l’uomo. Ci ha concesso la bestemmia. La vita è questo, è duplicazione. E’ fotocopia. E’ una fotocopia imperfetta. E’ continuare a propagare un progetto fallimentare. La vita è mancanza di senso assoluto. Vedi la gatta, dopo essere stata posseduta dal maschio. E’ impaurita. E’ dolorante. Soffre. Ma qualche giorno dopo riprenderà a mugolare. Per farsi montare ancora, finché non resta incinta. La natura glielo obbliga, se ne fotte delle sue lacerazioni. Spero che quella gatta sia rimasta incinta con quella rosa. Durante la gestazione sarà in balia di sensazioni che non si potrà spiegare. Si sentirà male. E non saprà mai perché, non avrà alcun dottore da cui andare. Quelle sensazioni sgradevoli la porteranno a comportamenti stereotipati. Comportamenti che hanno garantito ad altre gatte prima di lei la sopravvivenza dei suoi figli. Mangerà di più. Si nasconderà di più. Combatterà contro quegli stessi maschi che aveva dolorosamente accolto dentro di sé. E poi quando partorirà, sarà l’apoteosi della sofferenza degli innocenti. Lei si vedrà partorire. Subirà letteralmente un travaglio e un parto. Si lacererà. E non capirà cosa le sta succedendo. Non ne avrà alcuna idea. Avrà paura. Cercherà riparo. Avrà dolore. Urlerà. Non potrà farci niente. E si vedrà circondata da questi esseri oscuri, glabri. Che avranno misteriosamente il suo odore. E i suoi livelli ormonali saranno favorevoli alla conservazione della vita. La prolattina salirà. Li allatterà. Ma non avrà alcuna idea di cosa starà facendo. Io non voglio essere cosi!!!! Siamo dei fasci di riflessi. Riflessi di ogni tipo. Siamo macchine che rispondono a segnali. Se ti spingo i tuoi muscoli ti mantengono in piedi. Se stai per cadere allarghi le braccia. Se apri la mandibola automaticamente si richiude e poi si riapre. Siamo fasci di nervi che controllano un macello di carne e ossa. Siamo in balia di un meccanismo distruttivo che ci spinge all’autoconservazione. Hey, ci sei? Vabbé.”
“Ci sono, ma forse mi sono dissolto”
“Come me, siamo polvere adesso. Possiamo girare dove ci va. Ma io resterei sempre qui, sul lungomare di Via Caracciolo. Mi piace, mi ispira… Comunque che stavo dicendo.. Ah.. La conservazione della specie. E’ tutto un meccanismo auto amplificato, la natura. LE piante vivono. Non sanno perché. Ma vivono perché gli animali si decompongono. Gli animali vivono. Ma non sanno che si dovranno decomporre. I nitrobatteri vivono. Ma non sanno che serviranno per il ciclo dell’azoto. L’acqua c’è. Ma non c’è verso che ricordi la prima volta che è piovuta. O la prima volta che è evaporata da un uomo uccidendolo di disidratazione. E’ tutto un ciclo. Ho sonno, tu?”
“Anche io, Guarda. Cos’è quel disco che sta calando nel mare?”
“E’ il sole. Sta finendo”
“Come noi”
“Come me”